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La prima passeggiata

2021 | 2022

con un testo di

Martina Lolli

The Open Box

Milano

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È in noi che

i paesaggi

hanno paesaggio.

Fernando Pessoa

 

Ne Il libro

dell’inquietudine Pessoa ci invita a riflettere su come ogni processo visivo considerato oggettivo sia destinato allo scacco: il paesaggio è negli occhi e nel cuore di chi guarda. 

Nel paesaggio, in cui quotidianamente ci immergiamo e prendiamo le distanze, capita di essere assorbiti da corrispondenze e affinità capaci di amplificare le leggi della natura, farsi sangue del nostro corpo, restituirci uno sguardo che ci riguarda. In quella posizione ci sentiamo originari, ci confondiamo tra entità come essenze: ci immergiamo nella contemplazione perdendoci nel ritaglio di mondo da noi selezionato. Entità pacifica che trattiene i nostri umori, il paesaggio si lascia permeare dalle individualità fino a intrappolarci in esso, trattenuti nel gioco infinito tra natura e artificio, in ascolto dei richiami silenziosi che si ingenerano sulla pelle delle cose, in attesa che le texture fioriscano sulle sezioni dei tronchi, partecipando così alla magia della trasformazione alchemica dei materiali.

Esistere in questa mise en abîme è lasciare che il pensiero si perda fra i rimbalzi di identità, è divergere all’infinito nella différance, in quello scarto di senso che Jacques Derrida pone alla base del suo pensiero filosofico e che rintraccia nella distanza incolmabile tra l’espressione e il senso di una cosa – fra il volerla definire e il suo significato.   

E quando il massimo della trasparenza sembra annunciarsi irrompe l’opacità più implacabile, un’opacità che squalifica qualsivoglia identità a sé.

Forse è sul crinale di questa opacità che l’opera di Linda Carrara (Bergamo, 1984) meglio si colloca, come un invito a un viaggio iniziatico messo in moto dalla scoperta di un paesaggio portatore della sua différance. 
La visione – sospesa in una direttiva prospettica – fornisce l’accesso allo scenario sublime di sagome vibranti in cui amiamo naufragare. L’opera apre alla contemplazione in senso letterale: il paesaggio de La prima passeggiata inquadra una porzione di universo e permette di dispiegare un’ottica in cui la trasparenza delle forme trascende la loro pacifica evidenza. È in questo momento che l’immagine si fa icona acquisendo una opacità del tutto nuova: il paesaggio esibisce i suoi livelli di senso e il palinsesto di segni che vive all’interno aderisce a una dimensione dove la finzione-trasparenza non può che rimandare ad altro.

Sarebbe mai possibile vedere con occhi fermi un paesaggio come se l’uomo che guarda non esistesse in un dato luogo, ma in un altrove?

L’icona è il luogo in cui la différance si fa breve, il minuto eterno in cui la divergenza fra la forma e il senso è ridotta ai minimi termini, attimo in cui la trasparenza e l’opacità sono due facce della stessa medaglia. È un alludere alla forma primigenia delle cose, dove i sembianti si cristallizzano in una vagheggiata purezza.
È nell’opacità – quel gap di senso incolmabile – che vive il paesaggio, dove chi guarda comincia a vedere e la contemplazione pacifica si risolve nella perfezione di una visione difficilmente replicabile.

Martina Lolli

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It is only within us that landscapes become landscapes. 

Fernando Pessoa

In The Book of Disquiet Pessoa invites us to reflect on how every visual process considered to be objective is doomed to failure: the landscape is in the eyes and heart of the beholder. 

In the landscape in which we daily immerse and distance ourselves it can happen that we are absorbed by correspondences and affinities capable of amplifying the laws of nature, of becoming blood of our blood, of restoring to us a gaze that concerns us. In that position we feel ourselves to be original, we blend in among entities like essences: we immerse ourselves in contemplation, losing ourselves in the scrap of world we have selected.  A pacific entity that embraces our moods, the landscape allows itself to be permeated by individuals to the point where it traps us within itself, held that in the infinite play between nature and artifice, listening to the silent calls that are generated on the skin of things, awaiting the blossoming of textures on sections of tree trunks, participating in the magic of the alchemical transformation of materials.  

Existing in this mise en abîme is to allow thoughts to wander amongst the ricochets of identity, is to diverge infinitely into différance, into that deviation of meaning that Jacques Derrida regards as the basis of his philosophical thinking and which he traces in the unbridgeable distance between the expression and the meaning of a thing – between wishing to define it and its signified.   

And just as the height of transparency seems to announce itself, the most implacable opacity breaks in, an opacity that disqualifies any identity in its own right. 

It is perhaps on the crest of this opacity that the work of Linda Carrara (Bergamo, 1984) finds its natural home, as an invitation to an initiatory journey triggered by the discovery of a landscape carrying her différance.  
Vision – suspended in a prospective directive – provides access to the sublime scenario of vibrating shapes in which we love to founder. The work opens to contemplation in the literal sense: the landscape of La prima passeggiata (“The First Walk”) captures a portion of universe and permits an exploration of a perspective in which the transparency of forms transcends their pacific evidence. It is in this moment that the image becomes icon, acquiring a wholly new opacity: the landscape exhibits its levels of meaning and the palimpsest of signs that lives within it adheres to a dimension in which the pretence-transparency can only refer to something else.

Would it ever be possible to see with still eyes a landscape as if the man looking did not exist in a given place, but elsewhere?

The icon is the place in which the différance is brief, the eternal minute in which the divergence between form and meaning is reduced to the minimum, an instant in which transparency and opacity are two sides of the same coin. It is to allude to the primordial form of things, where appearance crystalise as a vague purity.
It is within opacity – that unbridgeable gap in meaning – that the landscape lives, where the observer begins to see and pacific contemplation is resolved as the perfection of a vision difficult to replicate.

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